Il Sud che riscopre le sue Origini

Il Sud che riscopre le sue Origini
"Ni son todos los que están, ni están todos los que son" Gli Ebrei del Sud Italia che riscoprono le loro tradizioni di Sefarditi

14 mar 2013

Pessach 5773

Riflessioni sul significato di “essere liberi”
Perché il termine “Pesach” viene tradotto con “Pasqua”
Come ci si prepara ad accogliere la festa
L'insieme dei testi riportati qui sotto sono integralmente tratti dal libro
"Le pietre del tempo, il popolo ebraico e le sue feste" di Clara ed Elia Kopciowski
(edizione Ancora 2001).
Alle origini della festa
Circa 3200 anni orsono Giacobbe, insieme ai suoi figli e alle loro famiglie, si trasferì in Egitto per 

raggiungere il figlio Giuseppe che ne era divenuto viceré. I discendenti di Giacobbe divennero 

assai numerosi, ma non dimenticarono il monoteismo insegnato loro da Abramo. Ciò creò quella 
che forse potemmo definire la prima manifestazione di Xenofobia, diffidenza ed odio verso i diversi, 
della storia. Xenofobia che sfociò una vera e propria persecuzione. Un Faraone, probabilmente di 
altra dinastia rispetto a quella del Faraone che aveva elevato Giuseppe alla carica di viceré, dapprima 
ordinò che i figli di Israele fossero ridotti in schiavitù usufruendo gratuitamente della loro opera. In un 
secondo tempo dato che essi, nonostante il duro lavoro, continuavano ad aumentare di numero, diede 
ordine che tutti i loro figli maschi furono uccisi al momento della nascita. Jocheveth, una donna ebrea 
della tribù di Levi, non volle sottostare passivamente all’ordine: prese il bambino e lo mise in un  cesto 
che affidò alla corrente del Nilo nella speranza che un qualche evento miracoloso lo salvasse dalla 
morte. La figlia di Faraone vide il fanciullo e, nonostante si fosse probabilmente resa conto che 
doveva trattarsi di un bambino ebreo, fu presa da grande pietà, lo accolse e lo fece crescere a 
corte come un figlio. Quel bambino era Mosè: il nome Mosè significa, infatti, “salvato dalle acque”. 
Divenuto adulto Mosè andava spesso a fare visita e a recar conforto ai suoi fratelli schiavi. Una 
volta s’imbatté in un egiziano che, sicuro della propria impunità, maltrattava un povero vecchio: 
ne risultò una colluttazione durante la quale l’egiziano rimase ucciso. E’ assai probabile che, 
se lo avesse richiesto, Mosè avrebbe ottenuto il perdono del Faraone che, pare, gli fosse molto 
affezionato. Ma forse in lui stava maturando quello spirito profetico che avrebbe informato tutta 
la sua vita: le ingiustizie, la corruzione, l’immoralità che regnavano in Egitto, soprattutto a corte, lo 
avevano certo profondamente colpito e ora aveva bisogno di un periodo di riflessione, lontano 
dal palazzo reale, perché la coscienza gli imponeva di rendersi conto di quale fosse effettivamente il 
proprio compito e il proprio ruolo nella vita. Attraverso il deserto e si fermò a Midian dove prese le 
difese di sette pastorelle, figlie di Jetro sacerdote di Midian, dalla prepotenza di alcuni pastori. 
Dallo stesso Jetro fu invitato a fermarsi a lavorare presso di lui. Mosè divenne così pastore, 
e sposò una delle figlie del sacerdote midianita, Zippora. Le due esperienze, quella di personalità 
di spicco alla corte di Faraone e quella di pastore a contatto con gente umile dedita al lavoro, 
furono fondamentali nella formazione del suo carattere preparandolo al suo futuro ruolo di capo, ma 
anche di padre e protettore del suo popolo. Fu proprio durante il periodo in cui Mosè era pastore 
presso il suocero che “Dio udì i loro gemiti e vide i figlioli di Israele ed ebbe compassione della 
loro condizione” (es. 2, 24-25). Apparve perciò a Mosè in un roveto ardente che pur bruciando 
non si consumava, e gli ordinò di tornare in Egitto per “fare uscire” i figli di Israele dal giogo degli 
egiziani promettendogli che gli sarebbe sempre stato vicino, e che avrebbe inviato al suo fianco il fratello Aharon perché lo aiutasse.Il Faraone non prese in nessuna considerazione la richiesta di Mosè di lasciare andare il popolo di Israele, nonostante questi avesse messo in guardia della potenza del 
“Dio di Israele”. Si riversarono allora sull’Egitto dieci piaghe con effetti devastanti su tutto il paese: le acque del Nilo e di tutte le sorgenti dell’Egitto si trasformarono in sangue; seguì una invasione di rane, poi quella di una quantità di insetti dannosi.Sopravvenne quindi una invasione di ogni genere di bestie feroci  che fece strage di uomini e di bestiame. Invano lo stesso popolo egiziano chiese a Faraone di lasciar libero il popolo ebraico per ottenere cessazione dei flagelli: in un primo momento il Faraone 
premetteva di obbedire alla volontà divina ma, non appena la piaga cessava, si rifiutava di 
mantenere la promessa. La gravità delle piaghe si fece sempre più intensa: gli egiziani furono colpiti 
dalla pestilenza, ricoperti di bubboni, investiti da terribili tempeste, invasi da una miriade di locuste 
e infine da una profonda oscurità che coprì per giorni e giorni l’Egitto senza mai lasciar spazio a uno 
spiraglio di luce. L’ultima piaga fu terribile: l’angelo della morte, in una livida notte di terrore, si aggirò
fra le case degli egiziani colpendone a morte tutti i primogeniti, anche quello di Faraone. Il Faraone fu così costretto, infine, a dare agli ebrei il permesso di lasciare l’Egitto. I figli di 
Israele, dopo aver consumato il sacrificio pasquale – un agnello col sangue del quale avevano 
segnato gli stipiti delle loro abitazioni per segnalarle all’angelo della morte che infatti “passò oltre” 
risparmiando i loro primogeniti – si affrettarono ad abbandonare l’Egitto così come era stato loro 
ordinato: “E mangiatelo in questa maniera: coi  vostri fianchi cinti, coi vostri calzari ai piedi e col 
bastone in mano.  Mangiatelo in fretta: è la Pasqua dell’Eterno” (Es 12,11). Prima della loro partenza,
gli egiziani offrirono agli ebrei doni in oro e argento, forse come risarcimento per il lavoro gratuito 
svolto per tanti anni. Gli Ebrei accettarono i doni e, come vedremo in seguito, fecero male. L’Eterno 
ordinò che zevach  pesach, il “sacrificio pasquale”, fosse consumato la prima sera di Pesach 
da tutte le generazioni future, perché mai gli avvenimenti di allora,  così densi di significato 
e di insegnamenti, venissero dimenticati. Ma gli ebrei dovevano aver costituito, durante la lunga 
permanenza nel paese, una colonna portante sia  per il contributo di lavoro, sia per quello delle idee, 
visto che ancora una volta il Faraone si pentì della sua decisione: “Che cosa abbiamo fatto a lasciar 
libero il popolo di Israele che ora non ci servirà più?” (Es 14,5). Alla testa del suo esercito li 
inseguì per riportarli indietro provocando al proprio popolo quella che potremmo definire 
l’undicesima piaga, quella che probabilmente è rimasta più famosa: l’apertura del Mar Rosso 
attraverso la quale gli ebrei raggiunsero salvi la riva opposta, mentre gli egiziani, che avevano 
tentato di attraversarla dopo di loro, furono inghiottiti dalle acque che si richiudevano e affogarono.


Orari officiature per Pesach 5773

Alle origini della festa
La durata della festa

DOMENICA 24 MARZO
Bedichat Chamez a sera

PESACH 26 MARZO – 2 APRILE

VIGILIA LUNEDI’ 25 MARZO
DIGIUNO DEI PRIMOGENITI

Inizio 05.39 - termine 19.07
Shachrit con sjium Massachtà ore 7.00
(coloro che assistono possono interrompere il digiuno)

Bijur Chamez entro e non oltre le ore 10.00 (divieto di cibarsi di pane e cibi lievitati)
Acc. dei lumi ore 18.14
Minchà e Arvit ore 18.15
I GIORNO MARTEDI’ 26 MARZO
Shachrit e Musaf (morid ha tal) ore 09.00
Minchà e Arvit ore 18.15
II GIORNO MERCOLEDI’ 27 MARZO
Shachrit e Musaf ore 09.00
Minchà e Arvit ore 18.15
Uscita festa ore 19.18
VIGILIA (7° giorno) DOMENICA 31 MARZO
Acc. dei lumi ore 19.22
Minchà e Arvit ore 19.15
VII GIORNO LUNEDI’ 1 APRILE
Shachrit e Musaf ore 09.00
Minchà e Arvit ore 19.20
VIII GIORNO MARTEDI’ 2 APRILE

Shachrit e Musaf (Benedizione dei bambini) ore 09.00
Minchà e Arvit ore 19.20
Uscita della festa ore 20.26
Il Chamez si potrà mangiare a partire dalle 20.45 di martedì sera 2 aprile.